Uno
Il gigante
mi guarda, seduto sul cofano della mia auto. La sua camicia bianca,
sbottonata per metà, è mossa dal vento quasi caldo di fine maggio.
- Non ho
moneta amico, niente. - gli dico senza crederci troppo. Apro il
bagagliaio, accompagnando dentro il mio carrello per la spesa. Lo
chiudo. Il gigante è ancora seduto, immobile, con lo sguardo fisso
in avanti, ora rivolto al vicino monte, sempre più scuro con
l'arrivo della sera. Improvvisamente, piano piano, alza la testa
verso l'alto, per poi portarla, con un movimento quasi
impercettibile, verso il basso.
- E' così
che fai? Sali fino alla cima con quel carrello e poi venite giù.
La sua voce
sembra quella di un vecchio attore drammatico di teatro, grave e
bene impostata. Mentre salgo in auto gli dico:
- Amico, io
me ne torno in città.
Non accendo
il motore. Aspetto che venga da me, perché è qui per me, è ovvio.
Si alza e sembra una montagna lui. Ha i capelli color del rame,
lunghi, raccolti bene, profumati. La sua pelle è abbronzatissima, a
toccarla forse scotta. Abbasso il finestrino e lo fisso negli occhi.
I segni delle cicatrici sulla larga fronte lo invecchiano di parecchi
anni. Poi noto la sua guancia sinistra, ospitante due segni rossi
paralleli che sembrano labbra.
Mi squilla
il telefonino e in un momento, vedendo il nome di mio cugino sul
display, capisco tutto, ma non rispondo. Tolgo la suoneria.
- Perché
non rispondi? - mi chiede il gigante.
- Vuoi un
passaggio? - taglio corto io, accendendo il motore.
Entra e
subito mi chiede - Riesci? - guardando lo schienale. Lo abbasso
immediatamente. La mia umile Punto di colore azzurro, con dentro un
carrello per la spesa e due uomini che insieme pesano almeno duecento
venti chili, si allontana dai piedi del Monte Musinè.
- Perché
non metti la quarta? - mi dice lui, guardandomi.
- Quando
vado in automobile mi piace andare piano, cara Miss! - gli rispondo
dopo un po' di tempo.
- Oggi ho
sentito il tuo capo: mi ha detto che ti avrei trovato qui.
- Non è il
mio capo. E' solamente mio cugino e ogni tanto gli do una mano.
- Però mi
ha detto che sei bravissimo nel risolvere i casi.
- Solamente
tanto culo, cara Miss. Niente più.
Gli guardo
il rossetto che ha sulla guancia, sorridendogli.
- Non
chiamarmi Miss.
- Pensa che
non ho neanche l'abilitazione per fare questo lavoro. Michele vuole
che faccia questo santo corso dove si dovrebbero imparare tante belle
cose, eppure non ho voglia di fargli spendere dei soldi. Per ora lo
aiuto così, gratuitamente, rimborso spese escluso. Lui sta nel suo
ufficio davanti al pc, seduto comodo. Riflette. Prepara le cose
burocratiche. Io, quando posso, agisco per lui.
- E come
fai a vivere? Che lavoro fai?
- Faccio lo
gigolò per le vecchie signore che vivono in città.
- Oh, dài,
non scherzare, cazzo!
- Nei fine
settimana batto anche la prima cintura e, sai... mi trovo tanto
meglio! Più si va lontani dal centro e meglio si sta!
- Oh, basta
con queste cazzate.
- Lavoro in
una bocciofila del mio quartiere. Nei fine settimana mi dedico alle
discese con il mio carrello per la spesa. La sera guardo solo film
muti. Vivo beatamente in solitudine, in una mansardina, al nono
piano. Proprietà privata. Sopravvivo. Fine.
- Ho ancora
qualche dubbio. E la ragazza? Ce l'hai una ragazza?
- Cos'é
una proposta, Lady?
- Non
chiamarmi Lady e non chiamarmi Miss.
- E allora
perché sei salito su? Io non ho spiccioli. E' chiaro, baby?
- Ferma la
macchina, ferma la macchina, stronzo!
Comincia ad
urlare ed io accosto. In un battere d'occhio mi ritrovo fuori
dall'auto, sul ciglio della strada statale, strattonato e poi il
cielo con le nuvole a due passi dal mio naso. Mi solleva in alto per
la schiena e mi getta a terra, come se non pesassi ottanta
chilogrammi. Poi mi alza da terra e, prendendomi per le cosce e per
le spalle, mi tira su e mi lancia in pieno sul cofano dell'auto. Cado
di schiena e vedo ancora il cielo sopra di me. Iniziano i pugni,
veloci, alla nuca. Non faccio tempo a pensare ad una mia difesa, per
esempio strappargli i capelli o i coglioni, perché mi accorgo che i
suoi pugni non generano in me alcun dolore. E nemmeno la schiena mi
fa male. Lui, il gigante impazzito, ora mi salta addosso, petto su
petto, il suo scolpito da atleta il mio fatto di grasso, ma io non
sento il suo peso. Scivolo per terra, finisco con gli occhi fissi al
cielo. La sua scarpa enorme si appoggia sulla mia pancia,
sfiorandomi.
- One, two,
three! Ho vinto, stronzo! - urla lui.
Mi alzo,
completamente illeso. Attendo una sua spiegazione, che immediatamente
arriva.
-
Sono un lottatore professionista di wrestling e ho bisogno del tuo
aiuto.
Tratto dal romanzo "L'investigatore nel carrello e il club dei lottatori". Questo capitolo è presente, in appendice, nella raccolta di racconti "La ragazza che sputava farfalle e altre storie" uscita nel 2015 (self-publishing, ilmiolibro.it).
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